Refettorio Museo Nazionale

Refettorio Museo Nazionale

I monaci benedettini arrivano a San Vitale attorno al decimo secolo; fra la fine del XV e il XVIII ampliano il complesso, utilizzando maestranze provenienti da Milano, Padova e Venezia. Il primo chiostro viene realizzato in epoca rinascimentale, seguito nel 1562 dal Chiostro Novo, opera dell’architetto Andrea da Valle; poi si completa il terzo, o “chiostro dell’orto”. Alla fine del Settecento arrivano però i francesi e, con la soppressione degli ordini monastici, decretata ufficialmente da Napoleone Bonaparte nel 1805, il convento attorno alla basilica è trasformato in caserma. Fra il 1913 e il 1914, alle soglie della Grande Guerra, il Museo Bizantino, diventato “Nazionale” (che aveva sede alla Biblioteca Classense), viene trasferito in quegli edifici. Così i luoghi che hanno visto i monaci benedettini intenti nella propria vita di studio, preghiera e lavoro, diventano il contenitore ideale per le collezioni antiche di oggetti d’arte e di reperti archeologici. L’intero Museo conserva infatti raccolte lapidarie, bronzi e placchette, transenne, tessuti, avori, ceramiche, una oploteca, la sala della sinopia, icone. Nell’intero complesso la sala più preziosa è quella del Refettorio; vi sono infatti conservati gli affreschi trecenteschi che ornavano la Chiesa di Santa Chiara (oggi teatro Rasi). Dal 1956 sono esposte le “vele” della volta dell’antico luogo religioso; successivamente sono stati posizionati anche  gli affreschi delle pareti. Le superfici dipinte sono state applicate a un supporto, costituito da due tele di cotonina, rinforzate da due tele di canapa, disteso su telai in alluminio. Gli affreschi sono attribuiti a Pietro da Rimini e alla sua scuola, che aveva elaborato uno stile aggiornato su quello di Giotto. Entrando la visione è di raffinata bellezza. La musica completa lo stupore: il prestigioso refettorio ha ospitato il Festival fin dal 1991. Da ricordare come l’ensemble Accademia Bizantina abbia scelto da anni questo spazio per il proprio ciclo di concerti domenicali.

Chiostro della Biblioteca Classense

Chiostro della Biblioteca Classense

Ecco uno fra i più grandi e maestosi monumenti dell’Ordine Camaldolese: un complesso la cui fabbrica continua per non meno di trecento anni, a partire dal 1515, quando i monaci lasciano la sede di Classe dopo le distruzioni della guerra franco-spagnola del 1512 (con la tremenda “battaglia di Ravenna”). La Biblioteca Classense, straordinariamente ricca dal punto di vista delle collezioni (ottocentomila libri, 750 volumi manoscritti, preziosissimi codici e carteggi), è anche un vero e proprio gioiello architettonico e artistico. Sopra tutti brilla l’Aula Magna, ornata di statue, stucchi e di scansie lignee finemente intagliate e decorata con affreschi e dipinti di Francesco Mancini, voluta dall’abate Pietro Canneti, fra Sei e Settecento. Poi il grande refettorio, l’antica sacrestia (Sala Muratori) e i chiostri monumentali. Il primo, forse un po’ buio, con la facciata barocca di Giuseppe Antonio Soratini e 24 colonne; il secondo, elegante e grandioso, è stato progettato dall’architetto toscano Giulio Morelli e realizzato fra il 1611 e il 1620. Ha 32 colonne di sasso d’Istria. Al centro, contornata da grandi alberi, campeggia un’elegante cisterna; è stata disegnata nei primi del Settecento da Domenico Barbiani. La biblioteca è, per antonomasia, luogo di lettura e studio, quindi di silenzio. Vi sono però eccezioni già a partire dalla fine del Seicento; un libretto stampato a Ravenna appunto nel 1677, cita l’esecuzione in quell’anno di almeno due “concerti musicali”, il primo intitolato “Gli amori di Antioco e di Stratonica”; il secondo “La virtù trionfante” di D. Andrea Rossini di Venezia. I Chiostri “debuttano” al Festival nel 2004, ospitando il melologo “Francesca da Rimini”, testo di Nevio Spadoni e musiche di Luigi Ceccarelli divenendo poi sede fissa e particolarmente apprezzata di molti appuntamenti di musica da camera e per piccoli ma preziosi ensemble.

Teatro Alighieri

Teatro Alighieri

Primi decenni dell’Ottocento: dopo oltre cent’anni il Teatro Comunicativo, interamente di legno, sta cedendo e la Civica Amministrazione decide di realizzare una struttura nuova. Intanto si deve trovare un luogo adatto e la scelta cade sulla Piazzetta degli Svizzeri, squallida e circondata da catapecchie, ma in pieno centro. Il progetto nel 1838 viene affidato a due architetti veneti, i fratelli Tomaso e Giovan Batista Meduna. Il primo ha curato il restauro del Teatro alla Fenice di Venezia, semidistrutto da un incendio. E porta la sua firma anche il primo ponte ferroviario di congiunzione di Venezia con la terraferma. Nasce così un edificio neoclassico, simile sotto molti aspetti al teatro veneziano. È il delegato apostolico, monsignor Stefano Rossi, a suggerire l’intitolazione a Dante Alighieri. L’inaugurazione ufficiale avviene il 15 maggio 1852 con “Roberto il diavolo” di Giacomo Meyerbeer e i balli “La zingara” e “La finta sonnambula” con l’étoile Augusta Maywood.

In quasi due secoli di vita golfo mistico, palcoscenico e platea, hanno ospitato personalità di tutto il mondo, farne un elenco è impossibile. Si possono citare però due curiosità: intanto la presenza in sala di Benedetto Croce con la compagna, mai moglie, Angelina Zampanelli a un recital di Ermete Zacconi, nel 1899. Poi l’arrivo di Gabriele D’Annunzio con Eleonora Duse, il 27 maggio 1902, per “Tristano e Isotta”. Quella sera l’incasso è a favore dell’Ospedale civile e il Vate fa subito sapere di offrire 100 lire. Una poltrona di platea costa 4 lire.

Nel 1959 il teatro viene chiuso lavori di consolidamento delle strutture; riapre dopo otto anni iniziando poi il percorso di qualità che lo ha portato ai fasti e alla notorietà internazionale di oggi.

Il 10 febbraio 2004  il “Ridotto” è intitolato ad Arcangelo Corelli, in occasione del 350 anni della nascita del grande compositore di Fusignano.

Palazzo Mauro De André

Palazzo Mauro De André

Il Palazzo delle Arti e dello Spettacolo è uno fra i rarissimi esempi, a Ravenna, di architettura contemporanea; e, per altro, si è dimostrata una fra le strutture al coperto più funzionali a livello nazionale. Un vanto, insomma, per la città. Il progetto porta la firma di un architetto particolarmente raffinato, Carlo Maria Sadich, autore fra l’altro delle strutture effimere dell’Estate Romana, al Circo Massimo, nel 1984. Voluto dal Gruppo Ferruzzi e intitolato a un collaboratore prematuramente scomparso, Mauro De André, fratello del cantautore Fabrizio, il Palazzo è stato inaugurato nell’ottobre 1990, e da allora ospita grandi eventi sportivi, commerciali e artistici. A partire, nello stesso anno di apertura, dal concerto diretto da Valerj Gergiev, con la partecipazione di Mstislav Rostropovič e Uto Ughi. L’intero complesso ha tre eccellenze progettuali; intanto la grande cupola bianca su pianta quadrata alta 33 metri. È composta da una struttura metallica reticolare coperta da una membrana traslucida in fibra di vetro. Poi un vero e proprio gioiello, la scultura di Alberto Burri “Grande Ferro R” che rievoca la carena di una nave rovesciata. Infine il “Danteum”, accesso al Palazzo, una sala ipostilo composta da cento tra pilastri e colonne; i pilastri esterni in pietra a vista e le colonne al centro: nove sono di ferro e di colore rosso (l’Inferno), nove di marmo di Carrara (Purgatorio) e nove in cristallo (Paradiso). Di grande bellezza anche il mosaico realizzato da Elisa Montessori e Luciana Notturni. L’interno conta 3.800 posti, ma lo spazio si può modificare spostando le gradinate mobili che, scorrendo su rotaie, possono essere collocate aperto sul retro. Il Palazzo ospita ogni anno alcuni fra gli eventi più importanti del Festival. Il “battesimo” è arrivato già nel 1992 con il Concerto straordinario per i 500 anni della scoperta dell’America, con Riccardo Muti a dirigere la Philadelphia Orchestra.