La fondatrice a Ravenna della comunità delle Clarisse Cappuccine è suor Chiara Pascoli e, con lei, le prime consorelle pronunciano i voti solenni il 21 novembre 1683. Quello delle Clarisse è un ordine monastico claustrale le cui religiose si dedicano prevalentemente alla preghiera contemplativa. È il secondo Ordine francescano e prende il nome da Santa Chiara d’Assisi. Ogni monastero costituisce una comunità autonoma ed è retto da una badessa, eletta a tempo determinato, e si riconosce appunto nella famiglia francescana. In origine la sede del monastero è nelle vicinanze di Santa Maria in Porto. Dopo il ritorno a Ravenna, trascorso il periodo di soppressione napoleonica, è Suor Teresa Miani ad aprire il monastero nella sede attuale, in via Pietro Alighieri, inaugurata nell’aprile 1823 e ricca anche di ampi spazi esterni. Il Monastero, con annessa la chiesetta di S. Apollinare in Veclo, fra le più piccole ancora attive nella città, subisce pesanti bombardamenti durante l’ultimo conflitto mondiale; vi muoiono due religiose. Il convento custodisce una tela di G.B. Barbiani, con la Madonna di Loreto, san Francesco e sant’Apollinare, che risale al 1605. Corrado Ricci, nella propria “Guida di Ravenna”, ricorda come nel 1923 il convento conservi una cassetta con alcuni panni, entro i quali sono state deposte le ossa di san Francesco, quando ne fu fatta la ricognizione ad Assisi, nel 1818. L’Abbadessa del Monastero, suor Maria Pia, è entrata nel convento nel 1956 come diciannovesima suora. Oggi le Clarisse Cappuccine sono rimaste in quattro; insieme a lei ci sono suor Agnese, suor Maria Grazia e suor Felice.
Convento delle Monache Clarisse Cappuccine
Convento delle Monache Carmelitane
Convento delle Monache Carmelitane
Il Monastero è al numero 44 di via Guaccimanni, a metà strada fra la basilica di S. Apollinare Nuovo e quella di San Francesco, in un quadrante della città denso di monumenti straordinari. La Comunità ravennate delle Carmelitane dell’Antica Osservanza (o “calzate”, per differenziarle da quelle, appunto, “scalze”) nasce nel 1773, dal desiderio di una terziaria, suor Marianna, di poter vivere, vicino ai padri carmelitani, un’esperienza evangelica di condivisione, di preghiera e di accoglienza, secondo lo spirito del Carmelo. Insieme ad alcune sorelle riesce ad aprire un educandato, dove prende il via una forte esperienza di crescita spirituale, che porta la Comunità, attraverso un lungo cammino di discernimento, a scegliere la vita monastica claustrale. All’inizio è di “clausura vescovile”, per assenso del papa Gregorio XVI, che accoglie la supplica dell’arcivescovo di Ravenna, cardinale Chiarissimo Falconieri. Diventa di “clausura papale” e “voti solenni” nel 1840, ossia con regole di vita più rigide, ed è visitato nel 1857 dal papa Pio IX durante il suo viaggio pastorale a Ravenna. In quell’anno, quindi, arriva il passaggio dalla primitiva forma di vita impegnata nell’attività educativa per le ragazze a una forma più incentrata sulla preghiera e il lavoro all’interno del monastero. La “madre” è suor Anastasia, ravennate, entrata in convento a vent’anni. Ma la clausura non significa, per queste monache, distacco totale dal mondo. «Per conoscerci un po’ più da vicino – racconta infatti suor Anastasia – puoi visitare il nostro canale youtube, “carmelitaneravenna”, dove abbiamo pubblicato diversi video sulla nostra vita, la nostra testimonianza, i nostri momenti di preghiera o i piccoli eventi culturali». Nel 2012 il Festival ha proposto un momento di meditazione e canti gregoriani nella piccola chiesa del monastero.
Piangipane, Teatro Socjale
Piangipane, Teatro Socjale
Musica, tendenzialmente jazz e cantautorale, in ogni caso di qualità; film d’essai. E il profumo dei cappelletti, insieme a un bicchiere di vino. Il Teatro Socjale di Piangipane oggi è questo e molto altro: è infatti un prezioso contenitore di eventi culturali e un centro di aggregazione…recuperando così le proprie origini. Il 7 settembre 1911 la Cooperativa Agricola Braccianti acquista un terreno per costruire proprio un teatro. Arriva la guerra, tutto si ferma e il cantiere parte nel 1920; i braccianti lavorano nei ritagli di tempo, guidati da mastri muratori, e si arriva all’inaugurazione nel 1921. Secondo la testimonianza del decoratore, la “i” di Sociale viene sostituita con la “j” per migliorare l’armonia della scritta. Il teatro ha una propria eleganza retrò, con richiami liberty: una grande platea, un palcoscenico in tavole, una galleria tutt’intorno. Non ha sedie fisse e, a ogni spettacolo, ognuno porta la propria da casa. Si susseguono così grandi concerti, musica lirica, operette, feste danzanti, veglioni mascherati. Diventa anche sala cinematografica. Poi, alla fine degli anni Settanta, il declino. La voglia di cultura e spettacolo non viene però meno, così nel 1990 nasce il Circolo Arci Teatro Socjale: alcuni giovani lo prendono in gestione per animare i venerdì sera. Il primo anno organizzano concerti jazz e blues accompagnati da birra, vino e cappelletti fatti in casa. È il nuovo “corso”, che si arricchisce l’anno successivo con il cinema del martedì sera. Non manca che un passaggio, delicato ma non impossibile, da realizzare: il restauro completo dell’edificio. I lavori vanno avanti dal 2004 alla fine del 2006 e nel 2007 la programmazione riprende. Sul palcoscenico passano i migliori jazzisti italiani, artisti nazionali e internazionali; e la generosità versatile dello spazio è stata colta anche da Ravenna Festival in più occasioni.
Comacchio
Comacchio
L’occhio si perde davanti a 16.000 ettari di specchi d’acqua salmastra, nei quali si pesca l’anguilla e si allevano molluschi. L’abitato si trova esattamente all’altezza del mare, in una bassa nel senso letterale del termine, centro principale del Delta del Po. Forse fondata dagli etruschi (le vestigia di Spina sono a poco più di 4 chilometri), Comacchio è stata sotto il dominio dell’Esarcato di Ravenna, poi del Ducato di Ferrara, infine dello Stato della Chiesa. Ariosto la descrive così: «… e la città ch’in mezzo alle piscose paludi, del Po teme ambe le foci, dove abitan le genti disiose che ‘l mar si turbi e sieno i venti atroci». Del dominio della casa d’Este resta solo la disposizione del nucleo storico perché nel 1509 la Serenissima fa scempio di questa città e delle sue saline. E gli edifici che si possono ammirare oggi, per quanto suggestivi, sono tutti di epoche successive. La “piccola Venezia” mantiene ugualmente un grande fascino. Malgrado il prosciugamento di gran parte delle valli circostanti, e l’interramento di alcuni canali urbani, si possono ancora individuare le tredici isolette su cui si era sviluppata. Le unisce una serie di ponti d’epoca, sui quali spicca quello che scavalca l’intersezione di due corsi con un terzo, con cinque arcate e altrettante gradinate: Trepponti. Dotato di due torri di difesa, è stato creato dall’ingegnere ravennate Luca Danesi nel 1634. Risale allo stesso periodo la Chiesa della Madonna del Carmine, la più antica della città. Un pezzo poi importante della storia della città è l’antica Manifattura dei Marinati che è, insieme, una fabbrica per alcuni mesi all’anno e un museo. Fra gli altri punti d’eccellenza, va ricordato Palazzo Bellini, sontuoso per il contesto edilizio in cui si colloca, accanto al Ponte degli Sbirri. Costruito nella seconda metà dell’Ottocento, ospita la Biblioteca e l’Archivio storico comunale. Nello stesso complesso si trova anche il museo che ospita la nave romana rinvenuta nel 1981 nelle valli. Sempre poco distante dal ponte degli Sbirri ecco l’Antica Pescheria, costruita nel XVII secolo e restaurata nel 1887, funziona ancora come mercato del pesce. A completare il quadro della località, ecco il “Casone Foce”: un tempo importante stazione di pesca, oggi ospita il ristorante Bettolino di Foce, vicino all’imbarco per la visita alle valli.
Russi, Palazzo San Giacomo
Russi, Palazzo San Giacomo
La maestosa residenza gentilizia di campagna, fatta costruire dai conti Rasponi nel tardo Seicento vicino all’argine destro del fiume Montone, continua ad affascinare sia per la grandiosità architettonica, sia per i bellissimi decori pittorici dell’interno. Costruito sulle rovine di un castello medievale, a due chilometri dal centro abitato di Russi, Palazzo San Giacomo in romagnolo è definito “e’ muraiòn”. D’altra parte la facciata di 84 metri e mezzo di lunghezza, comprese le due torri laterali alte cinque piani (sui tre del blocco centrale), può dare l’idea di una “grande muraglia”. L’architettura richiama il palazzo dei Farnese a Colorno e quello ducale degli Estensi a Modena, e l’edificio nasce appunto come residenza estiva del conte Guido Carlo Rasponi, fratello minore del cardinale Cesare, che forse lo ha anche progettato. I lavori sono seguiti poi dal figlio, Filippo, che si occupa delle decorazioni e concepisce la strada rettilinea che dalla provinciale porta al palazzo: un vero e proprio “ingresso trionfale”. Gli interni costituiscono il più vasto ciclo pittorico romagnolo fra il Sei e il Settecento, con opere di artisti come Philip Jakob Worndle, Ercole Sangiorgio, Giuliano Roncalli, Cristof Worndle e Andreas Kindermann. Nell’Ottocento il palazzo diventa nascondiglio per i rivoluzionari e sede di riunioni clandestine. Nel 1947 la proprietà passa al Seminario di Faenza; infine nel 1975 viene acquistato dal Comune di Russi. Il fascino della “nobile villeggiatura” è arricchito dagli spazi attorno, che negli ultimi decenni si sono trasformati in scenografie per eventi teatrali e musicali. A dare il “la”, all’inizio degli anni Novanta del Novecento sono i laboratori della compagnia “Le Belle Bandiere” di Russi. Arrivano poi importanti lavori di messa in sicurezza e restauro e, dal 2006, diventa il luogo perfetto per appuntamenti speciali di Ravenna Festival, a partire dalla prima rappresentazione assoluta di “Ur-Hamlet”, spettacolo creato nel 2006 dal grande Eugenio Barba.
Basilica di Sant’Apollinare in Classe
Basilica di Sant’Apollinare in Classe
È il più grande esempio di Basilica paleocristiana in assoluto, grandiosa e solenne. È consacrata come Sant’Apollinare nel 549 da Massimiano di Pola, primo arcivescovo della città, prestigioso emissario dell’imperatore Giustiniano. La leggenda racconta che vi abbia trovato sepoltura proprio il proto vescovo Apollinare, martirizzato nell’angiporto di Classe il 23 luglio del 74 dopo Cristo. In origine la facciata è preceduta da un quadriportico, di cui si sono trovati alcuni resti nel 1870. Sulla destra dell’edificio si innalza, massiccio, il campanile cilindrico, del decimo secolo e il più bello del territorio: alto 37 metri e mezzo, è movimentato da monofore, bifore e trifore. L’interno di Sant’Apollinare in Classe è a tre navate, separate da 24 colonne di marmo greco. Poi lo splendore dei mosaici che rivestono il presbiterio e il catino absidale: sono gli ultimi eseguiti a Ravenna da artisti bizantini. In queste decorazioni il naturalismo classico è completamente sostituito dalle forme più convenzionali dell’astratto simbolismo orientale. In origine l’interno è più ricco: il soffitto è a cassettoni, le pareti sono rivestite di marmi e il pavimento è un tappeto di mosaico. I marmi partono per Rimini attorno al 1450, dopo un accordo di Sigismondo Malatesta con i monaci: servono a decorare l’ampliata chiesa di San Francesco. La sistemazione di oggi ha le proprie radici nell’intervento realizzato nei primi del Novecento, sotto la guida di Corrado Ricci. Nell’ottobre del 1960 Papa Giovanni XXIII la eleva al rango di basilica minore, per rafforzarne il legame con il seggio pontificio. Dal 1996 fa parte dei siti patrimonio dell’umanità. Esclusivamente luogo di culto per secoli, la basilica inizia a diventare “teatro” nel 1965, con le celebrazioni del settimo centenario della nascita di Dante Alighieri. Il 27 maggio di quell’anno l’Orchestra ‘Haydn’ di Bolzano e Trento, diretta da Antonio de Bavier, con i cori di Radio Praga e dei Bambini di Praga, esegue la Grande Messa in si minore di Bach. Il 12 settembre è la volta di Orchestra e Coro del Comunale di Firenze, per la Messa da requiem di Giuseppe Verdi; sale sul podio Robert Zeller. Il Festival abbraccia questo luogo simbolo della città fin dal 26 luglio 1990: il Maggio Musicale di Firenze, diretto da Carlo Maria Giulini, esegue la Sinfonia n. 9 in re minore op. 125, il capolavoro di Ludwig van Beethoven.
Parco di Teodorico
Parco di Teodorico
Il colosso bianco, in blocchi di pietra d’Istria, spicca al centro di una zona piena di verde. È il Mausoleo di Teodorico, uno fra i più importanti monumenti ravennati. Il parco che lo circonda, progettato dall’architetto Boris Podrecca, rappresenta un nodo di collegamento tra il vicino percorso delle mura storiche e la cintura verde esterna della città e richiama alcuni elementi tipici del paesaggio ravennate, come la campagna e l’acqua. Ecco quindi i maceri, vicini all’ingresso settentrionale, che nel periodo estivo si ricoprono di splendidi fiori di loto. Dalla passerella di legno che li attraversa e dai percorsi pedonali laterali si possono osservare le numerose specie animali che popolano questi specchi d’acqua: tartarughe, pesci, oche, anatre, gabbiani. Poi orti conclusi, zone alberate, prati attrezzati con giochi per bambini e percorsi adatti alle passeggiate o per fare jogging. E, appunto, il Mausoleo, la più famosa costruzione funeraria degli Ostrogoti: voluta dallo stesso re attorno al 520, in origine sorge su un braccio di mare – che qui passasse la linea di costa è stato dimostrato dal ritrovamento di una nave romana poco distante dal sepolcro. La struttura è davvero imponente: la cupola monolitica di quasi 11 metri di diametro ha un peso che si aggira sulle 230 tonnellate. Una leggenda racconta che la lunga fenditura che dal centro arriva alla circonferenza sia stata provocata dal fulmine che ha incenerito Teodorico. In realtà la spaccatura può essere stata causata dal cedimento delle fondamenta, o addirittura da assestamenti proprio durante la posa in opera. L’intera zona è adibita in quel secolo a cimitero: il Campo Coriandro. Con l’arrivo dei Bizantini il Mausoleo viene trasformato in oratorio cattolico. Poi al suo fianco si alza un faro, vengono costruiti il monastero di Santa Maria della Rotonda e una chiesa. Oggi è uno degli otto monumenti ravennati dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità.
Basilica di Sant’Apollinare Nuovo
Basilica di Sant’Apollinare Nuovo
Uno fra gli edifici più sontuosi della Ravenna del periodo di Teodorico è senza dubbio la Chiesa palatina, di culto ariano, che il re fa costruire attorno al 505 accanto al proprio palazzo e fa dedicare al Cristo Signore. Quando la città cade in mano ai bizantini, dopo il 540 viene dedicata dall’arcivescovo Agnello a San Martino di Tours, “martello degli eretici” perché ha combattuto proprio gli ariani. Poi, fra il IX e il X secolo, viene consacrata a S. Apollinare, con l’aggiunta di “Nuovo” per distinguerla dalla più antica Sant’Apollinare in Veclo, che sorgeva nell’attuale via Pietro Alighieri. A fianco della chiesa spicca un bel campanile cilindrico, uno fra i tanti sorti a Ravenna, come quello di San Vitale. «Sono considerati – scrive la studiosa Wanda Frattini Gaddoni – i più antichi campanili cilindrici dell’Occidente». Gli stupendi mosaici che ornano le pareti della navata mediana risalgono a due periodi; la fascia superiore è del tempo di Teodorico e risente del gusto ellenico e romano. Quelli della fascia inferiore sono stati “epurati” in modo esteso all’epoca dell’imperatore Giustiniano, appunto nel VI secolo, al momento della consacrazione al cattolicesimo. E le rappresentazioni dell’arte teodoriciana sono sostituite dalle teorie di santi e sante martiri. La facciata e il portico sono rifacimenti del XVI secolo, quando l’edificio passa ai Frati Minori Osservanti. Basilica e convento ospitano oratori e “dramma sacri” fra il 1600 e il 1700. Poi più niente, fino al 1921 quando Sant’Apollinare Nuovo ospita due eventi musicali dedicati a Dante Alighieri, nei 600 anni della morte del poeta. Il 13 e 14 settembre viene messo in scena il poema sinfonico-vocale “Dantis Poetae Transitus” composto e diretto da Licino Refice, tra i massimi riformatori della musica sacra all’interno del movimento suscitato da Papa Pio X. Tre giorni dopo sono proposte alcune “Cantiche dantesche” commentate con musiche gregoriane e di Giovanni Pierluigi da Palestrina, adattate da Giovanni Tebaldini che dirige musiche e coro. Nel 1996 la basilica viene inserita dall’UNESCO fra i monumenti italiani patrimonio dell’umanità.
Palasport Angelo Costa
Palasport Angelo Costa
Costruito e inaugurato dal CONI negli anni Cinquanta, è intitolato ad Angelo Costa, fondatore nel 1945, insieme a Orfeo Montanari, della sezione pallavolo del Gruppo Sportivo Robur Ravenna. La squadra gioca le prime due partite con i militari dell’esercito polacco di stanza a Ravenna. Costa è anche fra i fondatori della Federazione italiana pallavolo, nel 1946. Nel 1964, con il ritorno della Robur Ravenna nella massima serie, il PalaCosta inizia a ospitare le partite di serie A. Nella stagione 1965-66 ci sono addirittura due formazioni ravennati protagoniste nella massima serie. Tra il 1979 e il 1981 inizia l’ampliamento dell’impianto, con la creazione di una tribuna più ampia. In quel periodo e per un paio di decenni, il Palazzetto ospita anche concerti e rassegne musicali; ad esempio un paio di edizioni del Ravenna Blues Festival (che parte nel 1986). Nel 1998 l’impianto, che presenta problemi di agibilità, viene chiuso. Dopo aver acquisito la struttura dal CONI, il comune di Ravenna avvia lavori di riqualificazione che si concludono nel 2009. All’inaugurazione il sindaco Fabrizio Matteucci commenta: «Il PalaCosta è un luogo storico nonostante sia stato costruito negli anni Cinquanta del Novecento, si può dire che è la casa dello sport ravennate. È stata una scelta coraggiosa e giusta recuperare questo spazio. In un periodo di spaesamento come quello in cui viviamo è bene ritrovare un luogo simbolo». Il 16 aprile 2016 il piazzale interno al PalaCosta è stato intitolato a Vigor “Bovo” Bovolenta, il campione della pallavolo scomparso prematuramente il 24 marzo 2012.
Palazzo dei Congressi
Palazzo dei Congressi
Corrado Ricci, alla fine dell’Ottocento, dice che Palazzo Corradini è «grandioso ma con eccessive proporzioni nella porta»: infatti il portone che si affaccia su via Mariani arriva addirittura al secondo piano. È sormontato da un balcone sostenuto da due grandi colonne e tre mensole. In realtà, quindi, l’intero complesso è davvero sproporzionato rispetto al resto della facciata, ma è un bel saggio di architettura barocca. L’edificio è, infatti, seicentesco. Sopra le mensole del piano superiore, inserite nell’architrave, ci sono alcune maschere. Una assomiglia stranamente a Garibaldi. Il Palazzo viene acquistato agli inizi del Settecento dalla famiglia Ginanni Corradini (quella che dà i natali ai celebri futuristi ravennati, Ginna e Corra) che lo vende nel 1886. All’interno ha grandi saloni, con decorazioni appunto del Settecento. Nella seconda metà del Novecento diventa anche uno spazio pubblico, ospita la Casa dello Studente, poi uffici dell’amministrazione provinciale e, a piano terra, per un periodo trova sede anche l’Istituto storico della Resistenza. Poi si trasforma in sede dei Corsi di lettere e Beni culturali e del Campus di Ravenna dell’Università di Bologna. Negli spazi retrostanti, in un progetto complessivo di consolidamento e potenziamento dei corsi universitari, viene costruito un nuovo edificio, appunto il Palazzo dei Congressi (oggi anche “del Cinema”), che è inaugurato nel 2000. Di proprietà della Provincia e del Comune di Ravenna, è affidato in gestione alla Fondazione Flaminia, Ente di sostegno al Campus Universitario Ravennate. Ha una sala congressi della capienza di 320 posti costituiti da poltrone, disposte ad anfiteatro su gradoni; è predisposta anche per le proiezioni cinematografiche; la sala è integrata da altri spazi complementari e di servizio, distribuiti su due piani. Ospita festival cinematografici, rassegne, incontri letterari.