Quando viene fondata, ai tempi del vescovo Pietro II (il suo monogramma campeggia nella navata centrale) alla fine del V secolo, sorge sulla riva del fiume Padenna. Sant’Agata Maggiore è una fra le chiese più antiche della città ma anche quella che, nei secoli, ha subito le maggiori modifiche; tuttavia conserva un proprio, arcaico, fascino. E fa fede della sua antichità la profondità del suo piano originale, due metri e mezzo più “basso” di quello attuale di campagna. Il campanile, invece, è del sedicesimo secolo; supera di poco l’altezza della chiesa ed è punteggiato da tanti piccoli fori, con alcune monofore e, in alto, con quattro bifore. Ha preso il posto di un quadriportico, realizzato su un prato, che ricopriva un cimitero. Nel corso dei restauri, effettuati tra il 1913 e il 1918 da Giuseppe Gerola, alla facciata viene aggiunto il bel protiro e la sovrastante bifora inquadrata da marmi. Lo spazio interno è a tra navate. L’impianto basilicale è scandito da colonne, alcune delle quali sormontate da capitelli corinzi del VI secolo. Un’antica arca, accanto all’altare di Sant’Agata, conserva le ceneri di San Sergio Martire e del Vescovo Agnello. Sopra l’arca campeggia una tela di Luca Longhi del 1546: raffigura Sant’Agata fra le Sante Caterina d’Alessandria e Cecilia. Se Sant’Agata Maggiore non è mai stato luogo “di spettacoli” si è però rivelata la sede ideale per le Liturgie domenicali e i momenti di musica sacra che, da molti anni, il Festival propone con il titolo “In templo domini”. Una curiosità: documenti conservati nella Biblioteca Classense descrivono un esorcismo portato a termine con successo nel novembre del 1716. A salvare l’anima di una bimba di 12 anni, ritenuta indemoniata, è monsignor Evangelista Antonio Coratti, parroco di Sant’Agata Maggiore.